EMILIO BIANCHI
Assaltatori della Xª Flottiglia
MAS
decorati con Medaglia d'Oro al Valor Militare
"Emilio
Bianchi. Eroico combattente, fedele collaboratore del suo Ufficiale, dopo avere
condiviso i rischi di un tenace, pericoloso addestramento; lo seguiva nelle più
ardite imprese e, animato dalla stessa ardente volontà di successo partecipava
con lui ad una spedizione di mezzi d'assalto subacquei che forzava una delle
più potenti e difese basi navali avversarie; con un'azione in cui concezione
operativa ed esecuzione pratica si armonizzavano splendidamente col freddo
coraggio e con l'abnegazione degli uomini.
Dopo aver avanzato per più miglia
sott'acqua e superando difficoltà ed ostacoli d'ogni genere, valido e fedele
aiuto dell'Ufficiale le cui forze erano esauste, veniva catturato e tratto
sulla nave già inesorabilmente condannata per l'audace operazione
compiuta.
Noncurante della propria salvezza si rifiutava di dare ogni
indicazione sul pericolo imminente, deciso a non compromettere l'esito della
dura missione.
Col suo eroico comportamento acquistava diritto all'ammirata
riconoscenza della Patria e al rispetto dell'avversario".
Nacque a
Sondalo (Sondrio) il 22 ottobre 1912.
Volontario nella
Regia Marina dal marzo 1932 ed assegnato alla categoria Palombari, frequentò il
Corso di specializzazione presso la Scuola C.R.E.M. del Varignano (La Spezia)
ed al termine imbarcò sulla nave idrografica Magnaghi, con la quale compì poi
due crociere idrografiche nell'Egeo e nel Mar Rosso.
Nel 1934 imbarcò
sull'incrociatore Fiume, dove conseguì la promozione a Sottocapo, e nel 1936
venne destinato al 1° Gruppo Sommergibili di La Spezia. Conseguita la
promozione a Sergente nel 1937, passò ad operare nella 1ª Flottiglia MAS, dando
inizio all'addestramento che lo doveva poi far diventare Operatore dei Mezzi
d'Assalto Subacquei.
Durante il
conflitto partecipò, nel grado di 2° Capo, ai due tentativi di incursione della
base inglese di Gibilterra (ottobre e novembre 1940), quindi all'audace
incursione della base di Alessandria come 2° operatore dell'SLC (maiale) n. 221
condotto dal T.V. Durand de La Penne.
Partito da bordo
dello Scíré nella notte del 18 dicembre, dopo aver superato gli sbarramenti
penetrò con il suo capo operatore all'interno del porto e portò il suo mezzo
esplosivo sotto la chiglia della nave da battaglia inglese Valiant, che per lo
scoppio, affondò all'alba del 19 dicembre. Colpito durante il tragitto da
intossicazione di ossigeno, a causa del durissimo sforzo che ebbe a compiere
durante le cinque ore di immersione, costretto a risalire a galla, dopo qualche
tempo fu scoperto dalle sentinelle di bordo e, assieme al suo comandante,
rinchiuso in un locale di bordo posto nelle immediate vicinanze della
santabarbara. Salvatosi fortuitamente dopo lo scoppio della carica, che provocò
l'affondamento della nave, venne condotto in un campo di concentramento e
rimpatriato al termine del conflitto.
Promosso per
meriti di guerra Capo di 3ª Classe e di 2ª Classe, nel 1954, a scelta, conseguì
la promozione a Capo di 1ª Classe Pa.
Nel grado di
Ufficiale del C.E.M.M. prestò successivamente servizio al Centro Subacqueo del
Varignano, al Nucleo Sminamento di Genova ed infine all'Accademia Navale di
Livorno, terminando la carriera nel grado di Capitano di Corvetta
(CS).
Altri riconoscimenti per merito di guerra:
(notizie tratte dal sito www.incursori.it/pagine/biografie.html)
MAS
decorati con Medaglia d'Oro al Valor Militare
"Emilio
Bianchi. Eroico combattente, fedele collaboratore del suo Ufficiale, dopo avere
condiviso i rischi di un tenace, pericoloso addestramento; lo seguiva nelle più
ardite imprese e, animato dalla stessa ardente volontà di successo partecipava
con lui ad una spedizione di mezzi d'assalto subacquei che forzava una delle
più potenti e difese basi navali avversarie; con un'azione in cui concezione
operativa ed esecuzione pratica si armonizzavano splendidamente col freddo
coraggio e con l'abnegazione degli uomini.
Dopo aver avanzato per più miglia
sott'acqua e superando difficoltà ed ostacoli d'ogni genere, valido e fedele
aiuto dell'Ufficiale le cui forze erano esauste, veniva catturato e tratto
sulla nave già inesorabilmente condannata per l'audace operazione
compiuta.
Noncurante della propria salvezza si rifiutava di dare ogni
indicazione sul pericolo imminente, deciso a non compromettere l'esito della
dura missione.
Col suo eroico comportamento acquistava diritto all'ammirata
riconoscenza della Patria e al rispetto dell'avversario".
Nacque a
Sondalo (Sondrio) il 22 ottobre 1912.
Volontario nella
Regia Marina dal marzo 1932 ed assegnato alla categoria Palombari, frequentò il
Corso di specializzazione presso la Scuola C.R.E.M. del Varignano (La Spezia)
ed al termine imbarcò sulla nave idrografica Magnaghi, con la quale compì poi
due crociere idrografiche nell'Egeo e nel Mar Rosso.
Nel 1934 imbarcò
sull'incrociatore Fiume, dove conseguì la promozione a Sottocapo, e nel 1936
venne destinato al 1° Gruppo Sommergibili di La Spezia. Conseguita la
promozione a Sergente nel 1937, passò ad operare nella 1ª Flottiglia MAS, dando
inizio all'addestramento che lo doveva poi far diventare Operatore dei Mezzi
d'Assalto Subacquei.
Durante il
conflitto partecipò, nel grado di 2° Capo, ai due tentativi di incursione della
base inglese di Gibilterra (ottobre e novembre 1940), quindi all'audace
incursione della base di Alessandria come 2° operatore dell'SLC (maiale) n. 221
condotto dal T.V. Durand de La Penne.
Partito da bordo
dello Scíré nella notte del 18 dicembre, dopo aver superato gli sbarramenti
penetrò con il suo capo operatore all'interno del porto e portò il suo mezzo
esplosivo sotto la chiglia della nave da battaglia inglese Valiant, che per lo
scoppio, affondò all'alba del 19 dicembre. Colpito durante il tragitto da
intossicazione di ossigeno, a causa del durissimo sforzo che ebbe a compiere
durante le cinque ore di immersione, costretto a risalire a galla, dopo qualche
tempo fu scoperto dalle sentinelle di bordo e, assieme al suo comandante,
rinchiuso in un locale di bordo posto nelle immediate vicinanze della
santabarbara. Salvatosi fortuitamente dopo lo scoppio della carica, che provocò
l'affondamento della nave, venne condotto in un campo di concentramento e
rimpatriato al termine del conflitto.
Promosso per
meriti di guerra Capo di 3ª Classe e di 2ª Classe, nel 1954, a scelta, conseguì
la promozione a Capo di 1ª Classe Pa.
Nel grado di
Ufficiale del C.E.M.M. prestò successivamente servizio al Centro Subacqueo del
Varignano, al Nucleo Sminamento di Genova ed infine all'Accademia Navale di
Livorno, terminando la carriera nel grado di Capitano di Corvetta
(CS).
Altri riconoscimenti per merito di guerra:
- Promozioni a Capo 3^ Classe
(1941);
- Promozione a Capo 2^ Classe
(1941).
(notizie tratte dal sito www.incursori.it/pagine/biografie.html)
INTERVISTA A EMILIO BIANCHI
di Andrea Piccinotti
Entrando in casa di Emilio Bianchi mi sono emozionato (io
ventenne a parlare con un signore di 87 anni molto più lucido e sveglio di me)
nel pensare che quest'uomo è stato uno dei più grandi eroi della nostra storia;
di lui mi ha colpito subito la sua modestia, più volte durante il racconto si
scherniva e parlava di immersioni e di attacchi come se fossero cose alla
portata di tutti, e il suo attaccamento all'Italia e alla Marina.
Sig. Bianchi in cosa consisteva il vostro addestramento?
L'addestramento era abbastanza duro abbastanza diciamo molto
duro, basti pensare che anche in pieno inverno scendevamo in acqua verso le 9
di sera e passavamo tutta la notte ad effettuare vari esercizi e immersioni sui
nostri maiali. Si trattava di qualche cosa di veramente impegnativo e di
estenuante, che solo il nostro entusiamo e lo spirito di corpo, ci faceva
superare.
Le prime esercitazioni le facevamo a Bocca di Serchio (sede degli
operatori dei mezzi di assalto - ndr), per prendere o mantenere la padronanza
del mezzo e per sperimentare nuove tattiche di attacco; dopo l'entrata in guerra
e quando si avvicinava la data per un'operazione dovevamo attaccare la base
navale di La Spezia all'insaputa di tutti per motivi di segretezza, non potevamo
avvertire le guardie delle nostre esercitazioni perchè ben presto il segreto
totale in cui noi operavamo sarebbe caduto, con il rischio di beccarci una
pallottola sparata dagli italiani. (parla di questo sorridendo, come se fosse
una cosa da niente.... - ndr).
Partivamo dall'isola del Tino, dovevamo superare un doppio
sbarramento a Punta Santa Maria ( l'entrata della diga foranea del porto
militare - ndr ) e superarne altri due nei pressi della nave che dovevamo
attaccare; la cosa più difficile era il fatto che operando di notte ad una
profondità di circa 15 metri eravamo come ciechi e quindi dovevamo sapere
esattamente cosa fare e essere molto affiatati con il proprio compagno.
Per superare gli sbarramenti avevamo degli attrezzi che ci
permettevano di aprire un varco nella rete con poca fatica ( infatti la miscela
di ossigeno e elio che respiravano nelle immersioni non permetteva di fare
grandi sforzi - ndr ): cioè dei martinetti idraulici o delle cesoie
pneumatiche. Una volta fissata la carica alla nave "nemica" l'esercitazione non
era finita perchè, sempre per motivi di segretezza, dovevamo ritornare indietro
e simulare la nostra fuga dalla base.
Quindi durante le esercitazioni correvate gli stessi rischi che
avete corso ad Alessandria ?
Direi che di rischi ne correvamo addirittura maggiori nelle
esercitazioni, perchè durante i nostri esercizi simulavamo tutta una serie di
situazioni e inconvenienti che poi ad Alessandria non capitarono; noi ad
Alessandria, grazie ai servizi segreti e ai ricognitori, sapevamo perfettamente
dove erano le navi da battaglia inglesi e come agire, dovevamo soltanto
ripetere quello che facevamo nelle esercitazioni.
Qual'è stato il pericolo maggiore che ha corso ?
Il rischio maggiore l'ho corso durante la seconda missione di
Gibilterra (operazione B. G. 2 il 29 ottobre 1940 - ndr), dopo aver avuto dei
contrattempi siamo riusciti ad avvicinarsi al porto militare, anche se vi erano
alcune motovedette inglesi che lanciavano alcune bombe di profondità in vari
punti del porto senza tuttavia darci un gran fastidio, all'improvviso è avvenuta
un'esplosione internamente (dovuta ad miscela esplosiva di gas che si era
formata nel compartimento batterie) al nostro maiale e sotto il mio sedere
(raccontando questo particolare il sig Bianchi scoppia in sonora risata - ndr),
che ha bloccato il motore e le eliche provocando l'affondamento del mezzo. Vi
devo ricordare che i nostri respiratori e il nostro ossigeno ci permettevano di
lavorare in sicurezza fino a 15 metri, mentre sotto i 30 era vietassimo
scendere; il maiale continuava ad affondare e io controllando il manometro di
profondità vidi che la lancietta era bloccata sotto i 30 metri, ad un certo
punto il maiale toccò il fondo e si fermò (Durand de la Penne accortosi
dell'impossibilità di governare il maiale l'aveva subito abbandonato - ndr). Se
la profondità in quel punto fosse stata maggiore io ci avrei sicuramente
rimesso la pelle; dopo essermi accorto che Durand non era più al suo posto ho
tentato più volte di riportare il mezzo in funzione azionando il dispositivo di
risalita rapida ma invano e sentendo soppraggiungere i primi sintomi di perdita
di conoscenza ho abbandonato il mezzo e sono ritornato a galla dove ho
ritrovato il mio comandante De la Penne. In quel momento stava sopraggiungendo
una motovedetta inglese, ma per fortuna siamo riusciti a passare inosservati, e
a raggiungere a nuoto (2 ore e mezza di nuoto di notte in acque fredde e
infestate da navi nemiche vengono raccontate da Bianchi come la cosa più facile
di questo mondo - ndr) la costa spagnola dove dei nostri agenti ci riportarono
poi in Italia. Eh si quella volta me la sono vista proprio brutta....
Come vi riparavate dal freddo durante le immersioni ?
Avevamo degli indumenti di lana molto pesanti, una specie di
mutandoni che dai piedi arrivavano fino alla vita e dei maglioni, e poi sopra
avevamo la tuta impermeabile ...... oddio impermeabile teoricamente visto che
molte volte l'acqua entrava perchè la tutta era molto fragile e bastave toccare
qualcosa di appuntito che si bucava; era fatta di tela gommata e aveva lo
spiacevole inconveniete che andando a profondità abbastanza elevate, diciamo
sotto i dieci metri, si prendevano delle frustate tremende perchè la pressione
dell'acqua raccoglieva il tessuto in certo modo che formavano delle grinze
sulla muta e di conseguenza anche sulla pelle, quando uscivamo dall'acqua dopo
le esercitazioni sembrava che fossimo stati frustati. Sulla nuca avevamo una
cuffia foderata di lana, però l'acqua entrava e i crampi terribili alla testa,
poi però l'acqua che entrava nella cuffia si scaldava e i dolori sparivano.
Lei è stato preso prigioniero subito dopo l'attacco
(Alessandria), come si comportarono gli inglesi ?
I marinai inglesi che ci videro per primi ci schernirono pensando
che avevamo fallito, ma appena gli alti ufficiali capirono la situazione ci
fecero spogliare e fummo portati a terra dove vi erano due ufficiali che
parlavano l'italiano (meglio di noi) e fummo interrogati uno alla volta; gli
ufficiali inglesi ci minacciarono più volte di farci fucilare perchè secondo
loro non eravamo militari e ci facevano notare una pistola che si trovava sul
tavolo, ma noi sapevamo che questo era solo un modo per spaventarci e per farci
parlare e non aprimmo bocca. A questo punto fummo riportati a bordo della
Valiant e chiusi in una cala della nave sotto la linea di galleggimento nella
speranza che noi rivelassimo dove si trovava la bomba; sapevamo che di li poco
la carica sarebbe scoppiata e aspettamo in anzia l'esplosione che fu veramente
un gran colpo che scosse tutta la nave e la lasciò al buio, poco dopo vennero a
prenderci e ci fecero sbarcare e io notai con mia grande felicità che la nave
stava iniziando a sbandare. Vorrei farle notare che le due navi da battaglia non
furono affondate ma solo messe fuori combattimento per via del basso fondale che
c'è nei porti (dice queste parole quasi volesse sminuire la loro impresa! -
ndr). Dopo l'attacco siamo stati portati in Palestina per 8 mesi in una zona
chiamata Latrum, poi quando ci fu l'avanzata di El-alamein nel timore che i
tedeschi arrivassero nel canale di Suez i tre ufficiali furono mandati in India,
mentre noi fummo portati in Sud Africa nel Transwall. (Voglio mettere in
evidenza come Bianchi tentò due volte di fuggire per tornare in Italia, questi
tentavi li ho scoperti leggendo il suo libro mentre lui per la sua incredibile
modestia non ne ha fatto parola durante il nostro colloquio -ndr). I tre
ufficiali e Marino sono tornati in Italia subito dopo l'Armistizio, io invece ho
preso il pretesto di alcuni problemi di salute per rimanere nel campo fino alla
fine della guerra, non volevo tornare in Italia perchè non si sapeva più che
pesci prendere, se si doveva combattere contro no o contro l'altro.
Se lei fosse stato in Italia, all'armistizio, cosa avrebbe fatto
?
Ma penso che conoscendo Borghese e tutta quella gente lì sarei
finito con scegliere la Repubblica di Salò, anche perchè non si può cominciare
una guerra e ad un certo momento dire che il mio nemico non più quello ma il mio
vecchio alleato, è una questione di etica e di coerenza; se fossi rientrato non
sarei stato capace di vedere gli inglesi come miei amici e i tedeschi come i
nuovi nemici. Le cito una frase di Tesei "non importa se una guerra si vince o
si perde, l'importante è combatterla bene" e gli alti comandi hanno fatto di
tutto per combatterla nel peggior modo possibile; per esempio anche dopo la
nostra azione ad Alessandria la Marina non sfruttò la supremazia schiacciante
che aveva conseguito evidentemente non avevamo buoni Strateghi!
Ritengo la mancata occupazione di Malta il più grande errore
della nostra guerra, lei cosa ne pensa ?
Guardi le dico questo: il 10 giugno del 1940 appena finito di
ascoltare l'annuncio della guerra alla radio Tesei disse: "ora la marina
italiana deva subito eliminare Malta, costi quel che costi"; ora dico io è mai
possibile che un'ufficiale del Genio Navale avesse capito subito l'importanza di
Malta mentre i grandi ammiragli non se
ne preoccuparono! Effettivamente Malta ci costò tantissimo, basti
pensare a tutte le navi mercantili che affondarono in rotta per la Libia,
carichi di materiali, mentre i nostri poveri soldati in Africa non avevamo
nemmeno le munizioni. Ad un certo punto l'isola era proprio estenuata e si
sarebbe potuto anche prenderla con pochi rischi, ma non siamo mai arrivati a
tanto ...... eh allora cosa si poteva fare, non era mica compito nostro (e in
queste parole vi è molta amarezza - ndr).
50 anniversario - cerimonia del 9 giugno 1991 a La Spezia
(Birindelli, Barberi, Beccati, de La Penne, Marceglia, Bianchi, Manisco,
Arillo, Ferraro, Marcolini, Medaglie d'Oro al V.M.)
Un' ultima cosa Sig. Bianchi, secondo lei perchè dei sei uomini
di Alessandria la vostra coppia è quella più famosa ?
(A questa domanda Bianchi non risponde, non capisco se per la sua
modestia o per non rinforzare quelle accuse che sempre hanno accompagnato De la
Penne di eccessivo protagonismo personale - ndr)
Ringraziamenti:
Ringrazio enormente il sig Emilio Bianchi, per la disponibilità e
per l'onore concessomi; Ringrazio inoltre il sig Enzo Casciani e l'amico Lorenzo
Salvestrini che hanno reso possibile questo incontro.
Copyright
©1996-2012 REGIAMARINA (TM). All rights
reserved.
Si ringrazia
REGIAMARINA per aver gentilmente concesso questa intervista e si fa divieto a
chiunque di copiare, divulgare o utilizzare il
testo.
Entrando in casa di Emilio Bianchi mi sono emozionato (io
ventenne a parlare con un signore di 87 anni molto più lucido e sveglio di me)
nel pensare che quest'uomo è stato uno dei più grandi eroi della nostra storia;
di lui mi ha colpito subito la sua modestia, più volte durante il racconto si
scherniva e parlava di immersioni e di attacchi come se fossero cose alla
portata di tutti, e il suo attaccamento all'Italia e alla Marina.
Sig. Bianchi in cosa consisteva il vostro addestramento?
L'addestramento era abbastanza duro abbastanza diciamo molto
duro, basti pensare che anche in pieno inverno scendevamo in acqua verso le 9
di sera e passavamo tutta la notte ad effettuare vari esercizi e immersioni sui
nostri maiali. Si trattava di qualche cosa di veramente impegnativo e di
estenuante, che solo il nostro entusiamo e lo spirito di corpo, ci faceva
superare.
Le prime esercitazioni le facevamo a Bocca di Serchio (sede degli
operatori dei mezzi di assalto - ndr), per prendere o mantenere la padronanza
del mezzo e per sperimentare nuove tattiche di attacco; dopo l'entrata in guerra
e quando si avvicinava la data per un'operazione dovevamo attaccare la base
navale di La Spezia all'insaputa di tutti per motivi di segretezza, non potevamo
avvertire le guardie delle nostre esercitazioni perchè ben presto il segreto
totale in cui noi operavamo sarebbe caduto, con il rischio di beccarci una
pallottola sparata dagli italiani. (parla di questo sorridendo, come se fosse
una cosa da niente.... - ndr).
Partivamo dall'isola del Tino, dovevamo superare un doppio
sbarramento a Punta Santa Maria ( l'entrata della diga foranea del porto
militare - ndr ) e superarne altri due nei pressi della nave che dovevamo
attaccare; la cosa più difficile era il fatto che operando di notte ad una
profondità di circa 15 metri eravamo come ciechi e quindi dovevamo sapere
esattamente cosa fare e essere molto affiatati con il proprio compagno.
Per superare gli sbarramenti avevamo degli attrezzi che ci
permettevano di aprire un varco nella rete con poca fatica ( infatti la miscela
di ossigeno e elio che respiravano nelle immersioni non permetteva di fare
grandi sforzi - ndr ): cioè dei martinetti idraulici o delle cesoie
pneumatiche. Una volta fissata la carica alla nave "nemica" l'esercitazione non
era finita perchè, sempre per motivi di segretezza, dovevamo ritornare indietro
e simulare la nostra fuga dalla base.
Quindi durante le esercitazioni correvate gli stessi rischi che
avete corso ad Alessandria ?
Direi che di rischi ne correvamo addirittura maggiori nelle
esercitazioni, perchè durante i nostri esercizi simulavamo tutta una serie di
situazioni e inconvenienti che poi ad Alessandria non capitarono; noi ad
Alessandria, grazie ai servizi segreti e ai ricognitori, sapevamo perfettamente
dove erano le navi da battaglia inglesi e come agire, dovevamo soltanto
ripetere quello che facevamo nelle esercitazioni.
Qual'è stato il pericolo maggiore che ha corso ?
Il rischio maggiore l'ho corso durante la seconda missione di
Gibilterra (operazione B. G. 2 il 29 ottobre 1940 - ndr), dopo aver avuto dei
contrattempi siamo riusciti ad avvicinarsi al porto militare, anche se vi erano
alcune motovedette inglesi che lanciavano alcune bombe di profondità in vari
punti del porto senza tuttavia darci un gran fastidio, all'improvviso è avvenuta
un'esplosione internamente (dovuta ad miscela esplosiva di gas che si era
formata nel compartimento batterie) al nostro maiale e sotto il mio sedere
(raccontando questo particolare il sig Bianchi scoppia in sonora risata - ndr),
che ha bloccato il motore e le eliche provocando l'affondamento del mezzo. Vi
devo ricordare che i nostri respiratori e il nostro ossigeno ci permettevano di
lavorare in sicurezza fino a 15 metri, mentre sotto i 30 era vietassimo
scendere; il maiale continuava ad affondare e io controllando il manometro di
profondità vidi che la lancietta era bloccata sotto i 30 metri, ad un certo
punto il maiale toccò il fondo e si fermò (Durand de la Penne accortosi
dell'impossibilità di governare il maiale l'aveva subito abbandonato - ndr). Se
la profondità in quel punto fosse stata maggiore io ci avrei sicuramente
rimesso la pelle; dopo essermi accorto che Durand non era più al suo posto ho
tentato più volte di riportare il mezzo in funzione azionando il dispositivo di
risalita rapida ma invano e sentendo soppraggiungere i primi sintomi di perdita
di conoscenza ho abbandonato il mezzo e sono ritornato a galla dove ho
ritrovato il mio comandante De la Penne. In quel momento stava sopraggiungendo
una motovedetta inglese, ma per fortuna siamo riusciti a passare inosservati, e
a raggiungere a nuoto (2 ore e mezza di nuoto di notte in acque fredde e
infestate da navi nemiche vengono raccontate da Bianchi come la cosa più facile
di questo mondo - ndr) la costa spagnola dove dei nostri agenti ci riportarono
poi in Italia. Eh si quella volta me la sono vista proprio brutta....
Come vi riparavate dal freddo durante le immersioni ?
Avevamo degli indumenti di lana molto pesanti, una specie di
mutandoni che dai piedi arrivavano fino alla vita e dei maglioni, e poi sopra
avevamo la tuta impermeabile ...... oddio impermeabile teoricamente visto che
molte volte l'acqua entrava perchè la tutta era molto fragile e bastave toccare
qualcosa di appuntito che si bucava; era fatta di tela gommata e aveva lo
spiacevole inconveniete che andando a profondità abbastanza elevate, diciamo
sotto i dieci metri, si prendevano delle frustate tremende perchè la pressione
dell'acqua raccoglieva il tessuto in certo modo che formavano delle grinze
sulla muta e di conseguenza anche sulla pelle, quando uscivamo dall'acqua dopo
le esercitazioni sembrava che fossimo stati frustati. Sulla nuca avevamo una
cuffia foderata di lana, però l'acqua entrava e i crampi terribili alla testa,
poi però l'acqua che entrava nella cuffia si scaldava e i dolori sparivano.
Lei è stato preso prigioniero subito dopo l'attacco
(Alessandria), come si comportarono gli inglesi ?
I marinai inglesi che ci videro per primi ci schernirono pensando
che avevamo fallito, ma appena gli alti ufficiali capirono la situazione ci
fecero spogliare e fummo portati a terra dove vi erano due ufficiali che
parlavano l'italiano (meglio di noi) e fummo interrogati uno alla volta; gli
ufficiali inglesi ci minacciarono più volte di farci fucilare perchè secondo
loro non eravamo militari e ci facevano notare una pistola che si trovava sul
tavolo, ma noi sapevamo che questo era solo un modo per spaventarci e per farci
parlare e non aprimmo bocca. A questo punto fummo riportati a bordo della
Valiant e chiusi in una cala della nave sotto la linea di galleggimento nella
speranza che noi rivelassimo dove si trovava la bomba; sapevamo che di li poco
la carica sarebbe scoppiata e aspettamo in anzia l'esplosione che fu veramente
un gran colpo che scosse tutta la nave e la lasciò al buio, poco dopo vennero a
prenderci e ci fecero sbarcare e io notai con mia grande felicità che la nave
stava iniziando a sbandare. Vorrei farle notare che le due navi da battaglia non
furono affondate ma solo messe fuori combattimento per via del basso fondale che
c'è nei porti (dice queste parole quasi volesse sminuire la loro impresa! -
ndr). Dopo l'attacco siamo stati portati in Palestina per 8 mesi in una zona
chiamata Latrum, poi quando ci fu l'avanzata di El-alamein nel timore che i
tedeschi arrivassero nel canale di Suez i tre ufficiali furono mandati in India,
mentre noi fummo portati in Sud Africa nel Transwall. (Voglio mettere in
evidenza come Bianchi tentò due volte di fuggire per tornare in Italia, questi
tentavi li ho scoperti leggendo il suo libro mentre lui per la sua incredibile
modestia non ne ha fatto parola durante il nostro colloquio -ndr). I tre
ufficiali e Marino sono tornati in Italia subito dopo l'Armistizio, io invece ho
preso il pretesto di alcuni problemi di salute per rimanere nel campo fino alla
fine della guerra, non volevo tornare in Italia perchè non si sapeva più che
pesci prendere, se si doveva combattere contro no o contro l'altro.
Se lei fosse stato in Italia, all'armistizio, cosa avrebbe fatto
?
Ma penso che conoscendo Borghese e tutta quella gente lì sarei
finito con scegliere la Repubblica di Salò, anche perchè non si può cominciare
una guerra e ad un certo momento dire che il mio nemico non più quello ma il mio
vecchio alleato, è una questione di etica e di coerenza; se fossi rientrato non
sarei stato capace di vedere gli inglesi come miei amici e i tedeschi come i
nuovi nemici. Le cito una frase di Tesei "non importa se una guerra si vince o
si perde, l'importante è combatterla bene" e gli alti comandi hanno fatto di
tutto per combatterla nel peggior modo possibile; per esempio anche dopo la
nostra azione ad Alessandria la Marina non sfruttò la supremazia schiacciante
che aveva conseguito evidentemente non avevamo buoni Strateghi!
Ritengo la mancata occupazione di Malta il più grande errore
della nostra guerra, lei cosa ne pensa ?
Guardi le dico questo: il 10 giugno del 1940 appena finito di
ascoltare l'annuncio della guerra alla radio Tesei disse: "ora la marina
italiana deva subito eliminare Malta, costi quel che costi"; ora dico io è mai
possibile che un'ufficiale del Genio Navale avesse capito subito l'importanza di
Malta mentre i grandi ammiragli non se
ne preoccuparono! Effettivamente Malta ci costò tantissimo, basti
pensare a tutte le navi mercantili che affondarono in rotta per la Libia,
carichi di materiali, mentre i nostri poveri soldati in Africa non avevamo
nemmeno le munizioni. Ad un certo punto l'isola era proprio estenuata e si
sarebbe potuto anche prenderla con pochi rischi, ma non siamo mai arrivati a
tanto ...... eh allora cosa si poteva fare, non era mica compito nostro (e in
queste parole vi è molta amarezza - ndr).
50 anniversario - cerimonia del 9 giugno 1991 a La Spezia
(Birindelli, Barberi, Beccati, de La Penne, Marceglia, Bianchi, Manisco,
Arillo, Ferraro, Marcolini, Medaglie d'Oro al V.M.)
Un' ultima cosa Sig. Bianchi, secondo lei perchè dei sei uomini
di Alessandria la vostra coppia è quella più famosa ?
(A questa domanda Bianchi non risponde, non capisco se per la sua
modestia o per non rinforzare quelle accuse che sempre hanno accompagnato De la
Penne di eccessivo protagonismo personale - ndr)
Ringraziamenti:
Ringrazio enormente il sig Emilio Bianchi, per la disponibilità e
per l'onore concessomi; Ringrazio inoltre il sig Enzo Casciani e l'amico Lorenzo
Salvestrini che hanno reso possibile questo incontro.
Copyright
©1996-2012 REGIAMARINA (TM). All rights
reserved.
Si ringrazia
REGIAMARINA per aver gentilmente concesso questa intervista e si fa divieto a
chiunque di copiare, divulgare o utilizzare il
testo.